Il quinto figlio, Doris Lessing, Feltrinelli 1988
Un romanzo breve questo, che si legge d'un fiato, da cui è impossibile staccarsi.
E' come trovarsi nel buio di una sala davanti alle sequenze di un film: la prima parte è a colori, quelli vividi dei lungometraggi anni 60.
Una coppia felice, lo stesso sogno, un progetto di vita in un momento in cui tutto sembra possibile, all'interno e al di fuori della coppia: "FELICITA', una famiglia felice, molti bambini...anche quattro o cinque o sei".
E poi un'esistenza idilliaca in una grande casa vittoriana dove quei bambini si rincorrono gioiosi nel parco.
Tutto sembra essere perfetto nella vita di Harriet e David.
Ma improvvisamente ecco che la scena cambia, e il film diventa in bianco e nero: sembra che la pellicola sia un'altra, un noir dall'atmosfera inquietante, pieno di oscuri presagi e incessanti vibrazioni negative.
Perchè nella vita, in un soffio, TUTTO può cambiare:
«Sul suo viso vide esattamente quello che si aspettava: uno sguardo fisso e cupo che rifletteva i sentimenti della donna, orrore nei confronti dell'alieno, rifiuto da parte di un essere normale verso ciò che oltrepassava i confini dell'umano.»
Doris Lessing riscriverà questo romanzo due volte, la prima in una versione più edulcorata, la seconda e definitiva in cui tutto il male e l'orrore, la solitudine e il dolore della protagonista che vive il suo essere madre, sono descritti con tutto il necessario realismo, denunciando con un bisturi affilato quanto può diventare quasi insostenibile un'esistenza tutta compresa in un ruolo.
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